Oggi affronteremo il tema della sopravvalutazione attuale del mercato azionario. Ci concentreremo soprattutto sul mercato americano, ricco di dati, e che rappresenta quasi il 70% degli indici azionari globali dei Paesi sviluppati.
Di recente molti investitori si pongono infatti una domanda chiave: il mercato azionario è sopravvalutato? Come trattare un mercato ai massimi? E soprattutto, bisogna fare qualcosa?
In questo articolo esploreremo alcuni indicatori utilizzati nella valutazione degli indici di mercato, cercando di capire cosa aspettarci nel futuro.
Il concetto di valutazione e sopravvalutazione
Per “valutazione” si intende quel processo attraverso il quale si assegna un “valore” ad un’attività o ad un bene, sia esso un’azienda, un business, o un’opera d’arte. Lo scopo della valutazione è scoprire se il prezzo di tale asset è giustificato dal suo valore.
Nel campo finanziario, un principio considerato valido a priori è che un investitore non paga per un asset più di quanto vale. Questo concetto può sembrare logico e perfino banale, ma viene dimenticato e riscoperto di tanto in tanto, in ogni generazione di investitori e in ogni mercato.
Tralasciando l’assurdità sostenuta da chi ritiene che “la percezione è tutto”, e che qualsiasi prezzo è giustificato se esiste qualcuno disposto a pagarlo (principio forse valido in campo artistico ma non certamente in quello finanziario), il vero punto cruciale è la definizione di “valore”.
Che cosa si intende per “valore”? Il concetto di valore è uguale per tutti gli investitori? Si può trovare un punto di incontro valido per tutti, in modo che si parli della stessa cosa quando si valuta un’azienda o un mercato? E cosa significa sopravvalutazione?
Molti tipi di valore… un solo tipo di valore
I mercati finanziari sono popolati da molte “specie” di investitori. Ciascuna di loro ha un suo modo di approcciare i mercati e di individuare il valore delle aziende.
Per esempio, alcuni investitori individuano il valore di un’azienda nelle sue prospettive di crescita (i cosiddetti “growth investors”), pertanto saranno disposti a pagare “tanto” le aziende che hanno le migliori aspettative sul futuro in un dato contesto. Non c’è quindi da stupirsi della folle corsa del prezzo di NVIDIA degli ultimi due anni (che inizia a scricchiolare: il prezzo sta andando un po’ troppo in là?).
Altri investitori individuano il valore in ciò che ritengono essere errori del mercato. Per esempio, alcuni pensano che le aziende percepite come “cattive” talvolta siano punite troppo dal mercato, e che il loro prezzo sia spinto eccessivamente verso il basso in forza di questa impressione. C’è infatti una certa evidenza che le cattive aziende possono essere degli ottimi investimenti.
Nonostante le divergenze di dove si trovi il valore, si può ricondurre ogni tipo di valutazione a un punto di partenza comune: le aziende producono utili, e tutti sono interessati agli utili futuri. Qualsiasi approccio di valutazione si basa quindi su una stima sugli utili che farà un’azienda (o un gruppo di aziende) nel futuro, i quali vengono poi “portati al presente” attraverso un tasso di sconto.
Il valore di un’azione (o di un indice) può quindi essere riportato a questa domanda: quanti utili verranno prodotti in futuro, e come valutare se il prezzo oggi è troppo elevato?
P/E: il mercato azionario non è sopravvalutato
Esistono diversi modelli, semplici e complessi, per stimare gli utili futuri e definire che tasso di sconto usare. Tutti questi modelli sono sbagliati, nel senso che la valutazione non è una scienza esatta. Per esempio, se tu ed io volessimo stimare gli utili futuri prodotti dallo S&P500, potremmo non essere d’accordo su quanto inciderà la crescita economica o che impatto avranno le nuove politiche fiscali di Trump.
Un modo più immediato per stabilire se lo S&P500 è sopravvalutato oggi è l’utilizzo dei multipli di valutazione, come il forward Price/Earnings (forward P/E). Questo indicatore mette a confronto il prezzo dell’indice (che è noto) con gli utili attesi per i prossimi 12 mesi. Ovviamente, anche in questo caso potrebbe esserci discordanza sul livello degli utili attesi.
Il forward P/E è l’indicatore che viene più spesso usato per valutare quanto un investimento azionario è caro o a buon mercato. Per vedere se un titolo o un indice è sopravvalutato o sottovalutato, il P/E viene confrontato con la sua media storica o con il P/E di investimenti comparabili.
In genere, ci si potrebbe aspettare che un elevato P/E sia indice di azioni sopravvalutate, e viceversa. Un aspetto interessante del contesto di oggi è che gli analisti esprimono consenso sul fatto che nel 2025 vedremo utili in salita per le aziende dello S&P 500. Data questa aspettativa, rapportando il prezzo odierno del mercato con gli utili attesi (il forward P/E, appunto) otterremo un valore di P/E più basso rispetto allo stesso valore calcolato sugli utili degli ultimi 12 mesi (detto trailing P/E):
Cosa significa questo? Che secondo il consenso comune, l’elevato prezzo del mercato di oggi è giustificato dalle aspettative di crescita delle aziende.
Dall’analisi del forward P/E, lo S&P500 oggi non è sopravvalutato.
Il problema con il P/E
Il problema più rilevante con il P/E è che gli utili possono variare considerevolmente da un anno all’altro, e gli investitori potrebbero prendere dei grossi abbagli.
Infatti, potrebbe esserci una grande discrepanza tra le aspettative sugli utili futuri (previsti dagli analisti o riportati dalle stesse aziende) e gli utili che effettivamente verranno conseguiti.
Per esempio, nel pieno della crisi del mercato azionario del 2008-2009, il P/E è schizzato alle stelle in forza di una considerevole diminuzione degli utili delle aziende. In quel contesto, il crollo degli utili delle aziende ha reso il mercato “caro” di colpo:
Un investitore che si fosse basato sul valore di questo indicatore avrebbe però perso una delle più clamorose occasioni di acquisto della storia dei mercati azionari. Lo S&P500 ha toccato il fondo nel marzo del 2009 ed è poi ripartito verso una delle più colossali crescite mai registrate:
Lo stesso può accadere “al contrario”, ovvero, in presenza di utili attesi più elevati non è affatto scontato che questi verranno davvero conseguiti, e che il mercato dunque salirà.
Il forward P/E, quindi, non tiene conto del ciclo economico, ma si basa su una stima del futuro basandosi sui dati del passato, e può essere molto fuoriviante.
CAPE: il mercato azionario è molto sopravvalutato
Per ovviare a questo problema, esiste anche una formulazione del P/E che utilizza al denominatore la media degli utili degli ultimi 10 anni aggiustati per l’inflazione. Questa formulazione del P/E è nota come CAPE (cyclically adjusted price to earnings ), o Shiller P/E, dal momento che è stata elaborata dal Premio Nobel Robert Shiller.
Il CAPE relaziona dunque il prezzo odierno dell’indice alla media degli utili che le aziende hanno prodotto durante differenti fasi del ciclo economico e in diversi contesti di tassi di interesse, politiche fiscali, sentiment, e narrativa prevalente.
Utilizzando questo indicatore per lo S&P500, il CAPE ci racconta tutta un’altra storia rispetto al P/E. Questo indicatore ci mostra che il mercato azionario americano oggi è fortemente sopravvalutato, almeno nel suo segmento large cap.
Il valore di 38 avvicina infatti il livello dei prezzi di oggi con quello della fase di sviluppo della bolla delle dot-com:
Da notare come il CAPE avesse correttamente previsto la bolla di internet dei primi anni 2000 (valutazioni senza senso) e la grossa occasione di acquisto del 2009 (CAPE intorno a 15). Il CAPE, che utilizza la media degli utili su dieci anni, ha infatti il vantaggio di risentire molto meno di improvvise variazioni degli utili rispetto al tradizionale P/E.
Dall’analisi del CAPE, il mercato azionario americano è molto sopravvalutato ed in fase di creazione di una bolla.
Bisogna agire?
Il CAPE di Shiller è senza dubbio un indicatore più affidabile del solo P/E per la valutazione di un mercato azionario. Tuttavia, la sopravvalutazione di un mercato non comporta necessariamente la preoccupazione o la vendita dei propri investimenti. I mercati azionari possono rimanere sopravvalutati per molti anni, pertanto chi cerca di fare timing si trova spesso e volentieri dalla parte del torto.
Chi invece crea un piano finanziario ben strutturato, in autonomia o tramite l’aiuto di un buon consulente che non abbia conflitti di interesse con l’investitore, può affrontare le bolle e le crisi senza rischiare di compromettere l’utilità del denaro investito. Il concetto fondamentale dei piani finanziari non è cercare di guadagnare il più possibile, ma sviluppare una serie di strategie che si adattano ai diversi scenari futuri ipotizzabili e che massimizzano le possibilità che l’investitore raggiunga quegli obiettivi di vita per i quali ha investito il suo denaro.
Creare dei piani richiede di andare un po’ più in profondità del solo “voglio guadagnare”. La logica del rendimento non può infatti che portare disappunto, perché i profitti sono generati dal mercato e sono spesso imprevedibili, anche se esistono delle tendenze di lungo periodo. Cliente e consulente trovano maggior vantaggio lavorando sul processo, ovvero partendo dal “perché investire” e “come investire”, focalizzandosi sul “cosa comprare/vendere” solo a valle di un processo di consapevolezza e della stesura di un piano scritto.
A presto,
Francesco