Il vero conflitto di interessi nella consulenza bancaria
Nel terzo trimestre 2025, l’amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, ha dichiarato che la banca “si conferma ai vertici dell’Eurozona per incidenza delle commissioni e dell’attività assicurativa sul totale dei ricavi.” [Risultati terzo trimestre Intesa Sanpaolo].
Tradotto: una grande parte dei profitti dell’istituto proviene da costi e commissioni pagati dai clienti.
Il nuovo piano d’impresa della banca prevede una crescita delle commissioni sui prodotti di investimento, basata su oltre 1.400 miliardi di euro di risparmio affidato da famiglie e imprese.
Questa affermazione, fatta pubblicamente e con orgoglio, fotografa alla perfezione un problema sistemico della consulenza finanziaria tradizionale: il conflitto di interessi tra banche e clienti.
Foglio Excel bilancio familiare
Le banche guadagnano sulle commissioni che i clienti pagano
Le banche italiane e le grandi reti di distribuzione guadagnano principalmente attraverso commissioni e retrocessioni sui prodotti che collocano. Fondi comuni, gestioni patrimoniali, polizze, obbligazioni strutturate: ogni prodotto genera un margine, e quel margine si alimenta direttamente dai costi caricati sul cliente.
Questo modello di business crea un incentivo naturale a vendere strumenti più costosi, non necessariamente più efficaci. Più commissioni vengono incassate, più cresce l’utile della banca e la remunerazione dei consulenti.
È un meccanismo perfettamente legale, ma profondamente distorsivo: spinge a massimizzare i ricavi per l’intermediario, non i rendimenti per l’investitore. Insomma, fondi costosi e rendimenti scarsi: la verità scomoda che nessuno ti dice.
In tutto il mondo, il trend è ridurre i costi a carico dei risparmiatori [fonte ESMA – EU Funds continue to reduce costs]. In Italia, invece, si arriva al paradosso: i grandi istituti si vantano pubblicamente del peso delle commissioni nei loro ricavi.
Come se fosse un segno di efficienza, e non il sintomo di un problema enorme per milioni di famiglie: ti ricordo che i costi elevati sono uno dei 10 segnali che il tuo patrimonio è gestito male.
Consulenza bancaria: un conflitto di interessi strutturale
Il vero nodo è questo: può esistere una consulenza imparziale se chi ti consiglia viene pagato dal prodotto che ti propone? La risposta, purtroppo, è no.
Chi lavora in una banca o in una rete ha un doppio ruolo: da un lato “consulente”, dall’altro venditore. E le due cose non vanno sempre nella stessa direzione.
Se l’obiettivo dell’istituto è aumentare i margini sfruttando proprio la mole dei risparmi in gestione, la priorità non sarà certo ridurre le commissioni ai clienti. Al contrario, verranno incentivati i prodotti con costi più alti, polizze con caricamenti importanti, fondi con retrocessioni elevate, soprattutto se queste direttive arrivano proprio dall’Amministratore Delegato!
La banca stessa dice che i suoi piani industriali si fondano sull’aumento delle commissioni a carico dei clienti, per aumentare i margini! Quali prodotti di investimento verranno mai “consigliati” ai clienti?!
Il conflitto non nasce da cattive intenzioni individuali, ma dal modello stesso di remunerazione. Il consulente bancario o il promotore legato a una rete non viene pagato dal cliente, bensì dalla banca o dalla società di gestione che gli riconosce una percentuale sui prodotti collocati.
Questo significa che chi dovrebbe consigliare, in realtà vende. E la qualità del consiglio rischia di essere influenzata da obiettivi commerciali.
Nel tempo, questo sistema ha eroso la fiducia dei risparmiatori italiani e reso i costi uno dei principali fattori di sottoperformance dei portafogli.
Il rendiconto MIFID: l’arma trascurata dai risparmiatori
Dal 2018 la normativa MIFID II impone agli intermediari di fornire un rendiconto annuale dei costi e oneri. Questo documento mostra con precisione quanto hai pagato tra:
- commissioni di gestione,
- spese di collocamento,
- costi assicurativi,
- retrocessioni percepite dalla rete o dalla banca.
Eppure, la maggior parte dei risparmiatori non lo legge. Molti non sanno nemmeno di riceverlo.
Il rendiconto MIFID è invece lo strumento più trasparente che un investitore abbia a disposizione: permette di verificare se i propri investimenti sono davvero efficienti o se stanno semplicemente alimentando il margine della banca.
Spesso basta un’occhiata per scoprire che, tra costi diretti e indiretti, il portafoglio ha perso 1,5–2 punti percentuali di rendimento all’anno. Su patrimoni importanti, questo equivale a decine di migliaia di euro all’anno bruciati in commissioni.
Ad esempio, un portafoglio da 1 milione di euro che paga il 2% di costi annui subisce una perdita di valore di 20.000 euro all’anno.
In dieci anni, oltre 200.000 euro possono essere trasferiti dal cliente all’intermediario, senza che nessuno se ne accorga.
Ecco perché anche le famiglie più solide dovrebbero usare strumenti di controllo — dal rendiconto MIFID a un semplice foglio Excel per il bilancio — e affidarsi a professionisti pagati solo dal cliente.
Consulenza indipendente: la risposta al conflitto di interessi
La consulenza finanziaria indipendente nasce proprio per risolvere questo conflitto. Il consulente indipendente non colloca prodotti, non percepisce retrocessioni e non ha legami con banche o reti.
Viene pagato solo dal cliente, attraverso una parcella trasparente, esattamente come accade con un commercialista o un avvocato. Nessun incentivo a spingere un fondo piuttosto che un altro, nessun interesse nascosto. Una differenza enorme e sostanziale con qualunque consulente di banca o private banker.
Il modello completamente indipendente elimina alla radice il conflitto e rimette al centro ciò che conta davvero: l’interesse del cliente, non quello dell’intermediario.
Per verificare che un consulente finanziario sia effettivamente indipendente (molti dicono di esserlo per vanteria o comodità, ma non lo sono affatto), chiedigli a che sezione dell’albo OCF è iscritto o iscritta: se non ti dice espressamente di essere un “Consulente Finanziario Autonomo”, non è un indipendente. Al contrario, ha un mandato da una banca o istituto.
Una questione di fiducia (e di trasparenza)
In un Paese dove la fiducia verso il sistema finanziario è fragile, continuare a vantarsi del peso delle commissioni sui ricavi rischia di peggiorare le cose. Le famiglie italiane hanno già imparato a proprie spese quanto possano essere opachi certi meccanismi, vedi il caso delle Polizze Ramo III piazzate da FWU.
Serve invece un cambio culturale:
- parlare apertamente di costi,
- leggere e capire il proprio rendiconto MIFID,
- chiedersi chi guadagna da ogni prodotto sottoscritto.
Solo così la consulenza può tornare ad essere ciò che dovrebbe essere: una guida, non una vendita.
Conclusione
Il conflitto di interessi nella consulenza tradizionale non è un dettaglio, ma la regola del gioco. Fino a quando chi consiglia continuerà a guadagnare dai prodotti che colloca, non potrà esserci vera indipendenza.
La buona notizia è che esiste un’alternativa, ovvero la consulenza 100% indipendente.
Una consulenza che non vive di commissioni, ma di fiducia e competenza.
Una consulenza che non deve “piazzare” prodotti, ma costruire progetti.
È quella che porto avanti ogni giorno come consulente finanziario indipendente, al fianco di famiglie e imprenditori che vogliono finalmente sapere quanto pagano, perché lo pagano e come proteggere il proprio patrimonio.
Se vuoi capire quanto paghi davvero di costi e commissioni, puoi partire da un’analisi del tuo rendiconto MIFID. È spesso il primo passo per recuperare trasparenza e serenità nei tuoi investimenti.
Recupera il rendiconto Mifid sui costi dei tuoi investimenti e prenota qui sotto una prima sessione di confronto con me, senza impegno.
A presto,
Francesco

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