Rendimenti e consulenza: un grosso malinteso

Oggi voglio parlarvi del concetto di “rendimento” sotto una luce diversa dal solito. Lo farò citando un esempio pratico, vissuto con un cliente durante la stesura del suo piano finanziario. Attorno al concetto di “rendimento” c’è infatti un grande malinteso di fondo. Nella testa di un investitore, di solito, il rendimento viene percepito prima di tutto come qualcosa di solamente numerico. Cioè, una percentuale di guadagno. Nella sua ottica, e purtroppo anche in quella di molti consulenti, il significato di rendimento finisce lì. In secondo luogo, si tende a concepire il rendimento in maniera del tutto isolata, come se fosse qualcosa di a sé stante e scollegato dalla vita dell’investitore. La domanda che pone il cliente è spesso “Quanto rende?” e mai “Quanto rende per me?”. Sono due domande di enorme differenza, e nel prosieguo di questo articolo vedremo il perchè.

Rendimenti, clienti, consulenti

C’è da dire che i clienti sono incoraggiati dagli stessi consulenti a intendere i rendimenti sul piano puramente numerico, e mai nel contesto della loro vita. Questo può capitare soprattutto se la relazione cliente-consulente viene basata sulla “consegna” del rendimento da parte del consulente. Così, un cliente che chiede “quanto mi fai guadagnare?”, aspettandosi di ricevere come risposta un numero, troverà una conferma della sua prospettiva se dall’altra parte il consulente risponde “il 2%” o “il 3%”, o qualsiasi altro numero e, sulla base di questo solo parametro, si scegliesse l’investimento da fare.

 

Il motivo per cui la questione viene posta e alimentata in questi termini, e purtroppo molto spesso solo in questi termini, è che la tipica relazione cliente-consulente è di tipo commerciale. Il cliente “chiede” un rendimento, alto o basso che sia, o in qualche misura “se lo aspetta”, e il consulente cerca di accontentarlo per non perdere l’opportunità che questi gli affidi i suoi soldi e compri i suoi prodotti, sui quali il consulente stesso viene poi pagato e misurato. 

 

Da parte del consulente, troppo spesso la relazione è costruita infatti per portare i clienti a una decisione d’acquisto di prodotti finanziari, possibilmente in tempi brevi, e non attorno ai loro reali interessi, cosa che richiederebbe più tempo di indagine, confronti, e probabilmente l’utilizzo di prodotti differenti rispetto a quelli che devono vendere. Non c’è tempo di “scavare”. Agli occhi del cliente, quindi, un bravo consulente sarà quello che al termine dell’anno gli ha consegnato il “rendimento promesso”, mentre uno meno bravo è chi non è stato in grado di farlo.

Il grosso malinteso attorno al concetto di “rendimento”

Stando così le premesse, è del tutto naturale che nascano incomprensioni e confusione nel rapporto tra cliente e consulente. E finalmente vi racconto l’esempio promesso. Un cliente ha chiesto la mia consulenza per progettare un portafoglio che avesse la possibilità, da un lato, di essere “pronto all’uso” per investimenti immobiliari e, dall’altro, che erogasse cedole. Il cliente in questione è un professionista del settore immobiliare, e dalle compravendite ricava la maggior parte dei suoi guadagni. Al contempo, voleva ottenere delle rendite passive dal suo portafoglio durante le fasi di ricerca dell’immobile.

 

Il cliente aveva già interpellato alcune banche, ponendo la questione in termini di “quanto mi fate guadagnare?”, e aveva ricevuto diverse proposte, orientate al “soddisfacimento” di questa domanda. Alcune proposte erano apparentemente innocue, ma di scarsa qualità e alti vincoli, come l’investimento nel fondo Eurizon Opp. Obbl. Plus Mz 2030, del quale ho già scritto. Altre proposte riguardavano invece l’investimento in fondi “ad alto rendimento”, perché “vede, stacca una cedola mensile”. Un esempio di questo fondo è il Invesco Sustainable Global High Income Fund A Monthly Distribution, proposto in quanto in grado di dare “cedole elevate” come “richiesto dall’investitore”.

 

Il vero malinteso nasce proprio quando il “rendimento” è inteso e “venduto” in questi termini.

Rendimento e… Rendimento

Ora immaginiamo che il nostro cliente investa nel fondo ad alto rendimento che gli è stato proposto, e inizi a ricevere le sue cedole mensili. La sua convinzione è che, così facendo, avrebbe da un lato un ampio flusso cedolare e, dall’altro, la possibilità di vendere il fondo in qualsiasi momento nel caso in cui gli servisse il denaro per le operazioni immobiliari (che, ricordiamo, sono la sua vera fonte di guadagno).

 

Ma che succederebbe se il segmento high yield attraversasse di nuovo dei periodi come la primavera del 2020 o i primi 9 mesi del 2022, in cui il fondo in questione ha segnato rispettivamente un rendimento del -20%  e del -17%, e proprio in quel momento il nostro cliente trovasse l’immobile perfetto per la sua operazione?

Il nostro cliente rischierebbe di trovarsi nella scomoda condizione in cui gli occorre il denaro per finanziare la sua operazione immobiliare, ma il portafoglio che deve liquidare per farlo è in grave perdita. Quale sarebbe il suo vero rendimento? Non sarebbe molto più remunerativo, per lui e per la sua situazione, investire in titoli di stato di buona qualità a corta o cortissima scadenza, o acquistare fondi ETF monetari dalla volatilità minima, nell’attesa di trovare l’immobile? 

 

Il “rendimento” del portafoglio sarebbe certamente più basso, ma quello complessivo per la sua specifica situazione sarebbe enormemente più alto: il portafoglio è a supporto del suo obiettivo principale, che è effettuare operazioni immobiliari. È più importante guadagnare un punto percentuale in più sul portafoglio, ma rischiare di trovarsi nella spiacevole situazione di dover decidere se liquidare in negativo o lasciar perdere l’operazione immobiliare, oppure guadagnare un punto in meno sul portafoglio, ma avere una ragionevole sicurezza di liquidarlo sempre in positivo nel momento in cui trova l’immobile da comprare?

 

In quale delle due opzioni il nostro cliente guadagna realmente di più?

Rendimenti e piani finanziari

Ciò che chiedeva il cliente, ovvero cedole alte e contemporanea possibilità di liquidare improvvisamente il portafoglio per un obiettivo superiore, richiedeva l’accettazione di un rischio che non era possibile ignorare, ovvero una potenziale liquidazione in perdita. Chiaramente, se la consulenza è orientata al veloce collocamento dei prodotti, perché “c’è il budget da fare”, che genere di relazione può essere posta con il cliente, se non di tipo commerciale e orientata ad “assecondarlo” nelle sue “richieste di rendimento”?

 

Nei progetti di investimento, serve tempo per il confronto. Talvolta, i clienti vanno accompagnati verso la consapevolezza e l’accettazione. Le cose possono anche emergere a mano a mano che si sviluppano dei ragionamenti. Un approccio indipendente è l’unico possibile per effettuare questo genere di percorso perché, appunto, non si fonda su logiche di vendita. La stesura di un piano finanziario centrato sui reali orizzonti temporali e obiettivi di investimento collegati al denaro necessita quindi di un minimo di tempo per riflettere con chiarezza mentale prima di comprare gli asset. Occorre partire dai “perché investire?”, poi stabilire il “come investire” e, solamente alla fine, ragionare sul “che cosa comprare/vendere”. Solo allora il “rendimento” avrà un senso, perché sarà il rendimento per quell’investitore, in quella fase della sua vita e per quella sua storia di investimento.

 

Questo processo genera consapevolezza nell’investitore, e permette sia a cliente che a consulente di stabilire una linea chiara di azione. Che cosa vuoi dai tuoi soldi? Questa è la prima domanda. La consapevolezza sgombera il campo da preconcetti, ragionamenti del tipo “quanto mi fai guadagnare”, e da una serie di altre trappole relazionali che generano solamente disappunto. 

 

Il mio suggerimento è quello di iniziare a intendere il rendimento come qualcosa di coeso con la propria vita di investitore, e non solamente come un numero percentuale da applicare all’investimento. Può essere molto fuorviante.

A presto,

Francesco

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